Per motivazione si intende la spinta ad agire, a mettere in atto comportamenti orientati ad uno scopo. Il concetto di motivazione sembra essere costituito da due componenti: la direzione e l’intensità. Per direzione si intende la meta verso cui si dirige l’azione. Cosa ci attrae, cosa ricerchiamo, cosa ci stimola: fare sport, vincere, giocare, divertirci, far parte di un gruppo, tenerci in forma. L’intensità si riferisce invece a quanto sforzo ed impegno ci si mette nell’intraprendere e portare avanti un determinato scopo, azione, comportamento, pensiero.
La motivazione influisce sulla scelta delle attività praticate (come il grado di difficoltà, o livello degli avversari con cui gareggiare), sull’impegno messo per raggiungere gli obiettivi (frequenza ed intensità degli allenamenti), e sulla resistenza di fronte ai fallimenti e alle difficoltà.
Tipologie
In un famoso modello psicologico (Murray, McClelland e Atkinson), si individuano 2 aspetti fondamentali riguardo la motivazione, ciascuno specificato in 3 punti:
- La motivazione alla riuscita:
- la forza dell’orientamento individuale al successo;
- la probabilità percepita di avere successo;
- il valore incentivante del successo.
- La motivazione ad evitare l’insuccesso:
- la forza dell’orientamento individuale a evitare o ritardare l’entrata in compiti di riuscita;
- la probabilità percepita d’insuccesso;
- il significato attribuito all’insuccesso.
Per cui siamo motivati a praticare uno sport se pensiamo che con l’esercizio i benefici diventeranno per noi utili e importanti, se crediamo fortemente che la riuscita nel raggiungere gli obiettivi prefissati dipenda da noi e non da fattori esterni che non possiamo controllare e se i benefici che ci siamo proposti di ottenere risultano essere ai nostri occhi particolarmente importanti e degni del nostro impegno e del nostro tempo, quindi se i benefici sono superiori ai costi.
Siamo invece demotivati quando abbiamo timore di impegnarci in un compito che può sviluppare effetti positivi così come un fallimento, pensiamo che la probabilità di fallire nel compito prefisso sia alta e viviamo in maniera spiacevole l’insuccesso, sopportandone a fatica le conseguenze emotive. In assenza di motivazioni è difficile che i soggetti si avvicinino all’attività sportiva o mantengano il loro impegno costante nello sport.
La motivazione può essere suddivisa in diverse tipologie:
- Essa si definisce intrinseca quando la spinta ad agire deriva da stimoli interni, dal piacere, dal divertimento personale, dalla voglia di mettersi in gioco, di migliorare, e così via. Le attività motivate intrinsecamente sono autonome e autodeterminate, ed ogni intervento esterno che riduca tale percezione di autonomia, incide negativamente.
- La motivazione diviene estrinseca quando si è spinti da incentivi esterni, premi, remunerazioni, dalla possibilità di ricevere lodi e elogi.
Differenze negli anni
È importante ricordare che ogni età ha le sue tipiche motivazioni ed interessi.
I bambini sono focalizzati sulla sperimentazione dell’ambiente, sono incuriositi dagli attrezzi e portati a testare le loro competenze. Non sono predisposti a programmare gli impegni in vista di vantaggi futuri, piuttosto sono orientati al presente e a trarre appagamento dal gioco. Desiderano primeggiare per superare i sentimenti di disagio e differenza con l’adulto ma non sono particolarmente impegnati a scontrarsi con gli altri coetanei. Il sostegno di allenatore, genitori ed amici è fondamentale in questa fase di sviluppo. Generalmente il bambino piccolo (5-10 anni) si avvicina a uno sport perché vuole giocare, entusiasmarsi, sperimentare il proprio corpo e le abilità acquisite fino a quel momento. In queste fasi il bambino non è ancora dotato di pensiero astratto, reagisce solo a ciò che è reale, concreto, presente e che appaga subito. Non programma, non fissa obiettivi troppo lontani e coglie soltanto le sollecitazioni del momento. Non risponde a richieste troppo lontane o ai sentimenti come il senso del dovere o il gusto di imparare. Per loro i bisogni importanti corrispondono al trarre piacere dall’azione sportiva giocando, scaricare le energie attraverso il movimento e saper vivere in gruppo.
I ragazzi iniziano invece a trarre piacere dalla competizione, dal paragone con gli altri, ma anche dal voler migliorare e sfidare le proprie capacità, mettersi alla prova in compiti sempre più difficili. Nell’adolescenza aumenta quindi il desiderio di gareggiare e diminuisce la necessità del supporto esterno. Negli anni successivi (11-14 anni) il giovane familiarizza con il pensiero astratto e desidera vedere fin dove può arrivare, può programmare e fissarsi obiettivi a lungo temine e s’impegna nella cooperazione mentre l’adolescente (15-20 anni) può preparare gli stadi più elevati della professionalità e vivere già il ruolo di adulto (Prunelli, 2002). Sul piano socio-affettivo e relazionale, la figura dell’allenatore assume il ruolo di guida capace di ascoltare, dare consigli valorizzando e apprezzando l’adolescente, convogliando le sue energie, la sua esuberanza e il suo desiderio di cambiare verso obiettivi sportivi nuovi oltre che appaganti
Nell’età adulta permangono il desiderio di divertimento, di svago e di competizione, a cui spesso si uniscono la necessità di fare attività fisica per motivi di salute e per mantenersi in forma.
Come incrementarla
Come agire allora per incrementare la motivazione?
Come prima cosa occorre comprendere le motivazioni che spingono a partecipare o non partecipare all’attività sportiva, tenendo presente non solo i fattori interni alla persona ma anche quelli situazionali esterni. Inoltre i soggetti hanno spesso diverse motivazioni, di vario tipo, alcune volte anche opposte e contrastanti, e differiscono a seconda del sesso e della cultura di appartenenza.
È importante conoscere gli stili attributivi degli atleti, ovvero il modo in cui “spiegano” il successo e il fallimento. In particolare in riferimento alla stabilità delle cause (la situazione è dovuta a fattori stabili e permanenti o instabili e fluttuanti), al locus (fattore interno alla persona o esterno/situazionale) e alla controllabilità (le cause possono essere gestibili dal soggetto o incontrollabili). Le attribuzioni si legano alla motivazione in quanto capaci di influenzare le aspettative future e gli aspetti emotivi dei soggetti. Un atleta che spiega il suo fallimento come dovuto ad una sua mancanza di abilità stabile, interna e non migliorabile tramite l’allenamento e l’impegno, non sarà motivato a proseguire in quella pratica sportiva. Per contro, uno sportivo che vede una sconfitta causata da una momentanea distrazione, o da scarsi allenamenti o dall’ambiente di gara particolarmente ostile, sarà portato ad impegnarsi di più in vista dei prossimi incontri o semplicemente accetterà il fatto che non c’erano le condizioni giuste per eccellere in quella situazione.
Si può poi passare ad una modificazione dell’ambiente, in modo da soddisfare le necessità degli atleti: variazione negli allenamenti, inserimento di nuovi esercizi, creazione di momenti di competizione alternati a momenti di collaborazione e lavoro di gruppo. Favorire un clima di cooperazione, in cui le scelte vengono condivise ed affrontate insieme da allenatori ed atleti.
Un modello di riferimento per l’incremento della motivazione è rappresentato dal modello “TARGET”, che rappresenta l’acronimo di alcuni termini inglesi su cui focalizzare l’attenzione. Il modello lavora sulla motivazione intrinseca e orientata alla competenza (Treasure, 2001).
- T-Task (compito): compiti vari, diversificati e significativi per ogni atleta. Assegnare ad ogni soggetto lo stesso compito potrebbe provocare atteggiamenti di sfida e rivalità, l’orientamento si sposterebbe verso la prestazione e il risultato. Puntare ad assegnare compiti diversi o aspetti diversi di uno stesso compito, rende meno dipendenti dal confronto sociale e più orientati all’acquisizione di competenza personale.
- A–Authority (autorità): coinvolgimento degli atleti nelle scelte. [NB: la scelta deve avvenire tra opzioni equivalenti, non tra un compito facile e uno difficile. Si può lasciare libera scelta rispetto all’aspetto su cui focalizzarsi.]
- R–Recognition (riconoscimenti): esprimere apprezzamenti ed incoraggiamenti, rinforzare gli atteggiamenti e i comportamenti positivi. È importante che essi siano espressi in modo realistico e non come pure formalità. Meglio se esternati all’atleta in privato, piuttosto che pubblicamente. In tale caso potrebbero attivare confronto sociale. Rivolti al singolo incrementano invece i sentimenti di orgoglio e soddisfazione
- G–Grouping (gruppi): utilizzare il lavoro di gruppo, favorire la collaborazione e la cooperazione. creare gruppi eterogenei e con criteri flessibili, in modo che a seconda del compito richiesto i soggetti possano facilmente passare da un gruppo all’altro. Si evita il formarsi di gruppi stabili, che potrebbero competere tra loro.
- E–Evalutation (valutazione): fornire indicazioni, giudizi e critiche. Le valutazioni devono rispecchiare criteri individuali, personalizzati per ciascun atleta. Tengono conto dei miglioramenti, della partecipazione e dell’impegno. Anche in questo caso è bene esprimerli in privato piuttosto che di fronte ai compagni.
- T–Time (tempo): stabilire e considerare tempi diversi, personalizzati per ciascun atleta. Alcuni necessitano di un tempo maggiore di altri per apprendere. Sollecitare una gestione autonoma del tempo e delle attività, piuttosto che aderire a programmi prestabiliti di marcia.
Staff CISSPAT
Dott. Bargnani Alessandro
Dott.ssa Franco Giada