Al giorno d’oggi nel mondo dello sport inizia ad essere consuetudine svegliarsi la mattina ed essere informati di quanti atleti vengono trovati positivi all’esame antidoping. Caso ultimo è quello di già riscontrato positivo all’epo nel 2012 e ora al suo rientro in gara e in partenza per Rio si segnala una presunta positività a degli steroidi anabolizzanti. Senza soffermarmi nel caso del marciatore altoatesino, in quanto la vicenda nei prossimi giorni sarà accuratamente approfondita e chiarita, vorrei fare delle considerazioni su ormai questa “moda” chiamata doping.
I paesi dell’europa dell’est dagli anni 50 agli anni 80 sono stati i primi a diffondere questa cultura nella preparazione agonistica di atleti olimpionici e poco si sapeva su quello che sarebbero stati gli effetti collaterali. Tra i casi più rinomati abbiamo la pesista Heidi Krieger, che ai campionati europei del 1986 vinse la gara con 21.06 m, e che, visti successivamente gli effetti collaterali degli steroidi, fu costretta a cambiare genere. Altri sono Ben Jhonson, squalificato ai giochi di Seul del 1988 dopo aver vinto i 100 m stabilendo il nuovo record mondiale, e la sua collega Marion Jones velocista americana.
Come non dimenticare poi il caso di Marco Pantani, escluso dal giro d’Italia del 1999 per un valore di ematocrito superiore ai limiti consentiti, e del suo collega Lance Armstrong che vinse 7 tuor de France consecutivi e che gli vennero revocati a causa del doping. Oggi il doping dilaga oltre che nel settore professionistico anche in quello amatoriale-dilettantistico creando attorno a sé un giro d’affari abnorme.
Dopo questa panoramica entriamo sulle motivazioni psicologiche, culturali e sociali che portano gli atleti a far ricorso al doping. Possiamo suddividere tre cause: sociali-culturali, psicofisiologiche, psicologiche ed emotive.
Per le cause sociali intendiamo tutto ciò che riguardano pressioni, aspettative che portano l’atleta a doparsi. E’ vero che la responsabilità è dell’atleta, se fatto consenzientemente, ma riflettiamo anche su quanto nella cultura odierna ci sia un enfasi a dir poco ipertrofica sul voler continuare a vedere grandi numeri, grande spettacolo, grandi prestazioni per superare sempre più i limiti umani. Si promuovono sempre gli atleti vincenti che hanno realizzato i loro sogni rendendo la loro vita un paradiso, quasi che la sconfitta sia un eresia o tabù sociale. Tutto questo poi è accompagnato da grandi sponsor con incremento di denaro sempre più vivo, più prestazione, più sponsor e più fama. Come può non essere una tentazione tutto questo per l’atleta? Pensiamo quindi a come l’atleta è solo uno dei tanti puntini di una società che, anche se formalmente si presenta contraria al doping, indirettamente lo può incentivare.
Per le cause psicofisiologiche intendiamo tutto ciò che porta un atleta ad utilizzare sostanze dopanti per controllare ed abbassare il dolore fisico, innalzare l’energia e l’attivazione psicofisica, agevolare il controllo del peso e accelerare il recupero dopo un infortunio.
Le cause psicologiche ed emotive sono dovute alla struttura di personalità e caratteriale dell’atleta. Insicurezza, paura di fallire, deliri basati sulla somiglianza di un campione specifico che si vuole a tutti i costi imitare, un elevato narcisismo, l’eccessivo perfezionismo e un io ideale costruito ed approvato socialmente da difendere a tutti i costi sono tutte predisposizioni che portano all’uso di sostanze dopanti. Il dimostrare di essere sempre oltre i limiti umani senza mai permettersi di sgarrare o scendere dalla cresta dell’onda. Ciò indubbiamente creerà una assoluta instabilità psichica creando l’anfiteatro per una ipotetica grande fragilità.
Posso concludere, da promotore della salute mentale in ambito sportivo, con alcune considerazione che spero possano far riflettere tutti coloro i quali leggeranno l’articolo.
Fin dove lo sport può essere considerato salute psicologica? Siamo sicuri che la cultura odierna ne sia promotrice? Cosa c’è dietro agli atleti che si dopano? E le sofferenze psicologiche che indubbiamente li accompagnano quando il loro” io ideale” viene demolito o quando gli effetti collaterali del doping si tramutano in una malattia molto spesso tumorale o cardiaca? Chi si prende cura di loro qual’ora capitasse ? E la gioventù quanto ne è influenzata? Come cresce e quali sono i valori sportivi con cui cresce?
Purtroppo sappiamo che il buisness comanda la stragrande maggioranza di tutto ciò che c’è al mondo odierno compreso lo sport. Oggi coloro i quali danno un impronta di sport, visto come sano allenamento, dieta e sana competizione che porta a raggiungere il limiite che la propria genetica concede, penso possa essere di nicchia. Da psicologo dello sport la mia prima preoccupazione è quella di prendermi cura e di interessarmi dell’atleta come persone con la sua identità, le sue necessità, sofferenze, motivazioni, emozioni e cosa più importante il suo benessere psico-fisico nell’attività sportiva che svolge.
Dott. Leonardo Gottardo