Sono trascorse ormai più di 60 ore e le bollenti critiche che hanno infiammato subito il post partita di Italia – Germania hanno invece adesso lasciato il posto a riflessioni più ponderate. Pur volendo parlare di preparazione mentale, cultura della sconfitta e rispetto per compagni ed avversari nello sport, la premessa da fare doverosamente in questo caso è che i tedeschi per mole di gioco espressa nei 120 minuti hanno sicuramente meritato più di noi di passare il turno e ciò significa come logica conseguenza che gli Azzurri alla fine hanno meritato di essere eliminati: sarebbe poco onesto voler affermare il contrario. Eppure resta una sensazione amara in fondo alla bocca di tutti gli italiani che sabato sera sono rimasti incollati davanti al televisore con il cuore in mano e il sogno poi purtroppo non avveratosi di gioire al termine del match. Se siamo consapevoli che la eliminazione è stata meritata, perché abbiamo tutti dentro questa sorta di rimpianto?
Riconoscendo comunque il giusto merito ai nostri ragazzi che a Bordeaux hanno fatto già una impresa nel non capitolare di fronte al gioco teutonico nei tempi regolamentari, la risposta alla domanda che ci siamo posti in precedenza è abbastanza semplice: perché si è verificato un tanto repentino quanto inaspettato cambio di atteggiamento di alcuni nostri giocatori che, fino a quel momento, con la loro umiltà e con il loro spirito di sacrificio ci avevano fatto credere, più che sperare, in qualcosa di impensabile fino a poche ore prima. Sicuramente la serie di tiri dagli undici metri è stata molto sentita da entrambe le parti, visto che sei rigori sbagliati sui dieci della prima serie, in partite di così alto livello, si vedono molto raramente.
Come dice giustamente il capitano della nostra nazionale, Gianluigi Buffon, il rammarico aumenta se si pensa appunto al fatto che i nostri avversari abbiano fallito ben tre rigori sui cinque a loro disposizione. Il rovescio della medaglia però, tanto doloroso quanto difficile da accettare, è che la nostra nazionale è riuscita a fare di peggio. Non ci si sta riferendo tanto al risultato, perché essere eliminati ai rigori dalla Germania in un quarto di finale di un Europeo non è una disfatta, anzi potrebbe anche essere considerato un buon risultato, quanto invece si vuole far riferimento alla prestazione nei tiri dagli undici metri prodotta dai nostri Azzurri e quindi al “come” abbiamo perso. Il simbolo della nostra sconfitta è diventato Darmian, perché ha sbagliato il rigore decisivo, quando in realtà è stato uno dei pochi ad avere un atteggiamento rispettoso ed impeccabile nei confronti della maglia che stava indossando.
Un discorso simile si può fare pure per Bonucci, anche se in questo caso il suo comportamento non verbale ha lasciato trasparire una determinazione di gran lunga maggiore nel tirare il rigore del pareggio durante i tempi regolamentari, rispetto alla tensione e alla paura di sbagliare che appariva evidente invece durante la sua seconda esecuzione. Simone Zaza poi ha sicuramente la attenuante di essere entrato a un minuto dal termine senza essere riuscito a toccare neanche un pallone e quindi essersi sentito caricato di una responsabilità forse eccessiva, proprio perché inserito in campo appositamente per calciare il rigore.
Sulla rincorsa bizzarra si sarebbe poi anche potuto sorvolare, se il tiro non fosse però uscito di un paio di metri abbondanti rispetto al porta difesa da Neuer.
A questo punto entra in gioco un primo importante punto da analizzare, ossia che un calciatore convocato dalla Nazionale Italiana, può sbagliare un tiro dal dischetto, per una parata del portiere o per un palo colpito che denota forse anche una eccessiva precisione, ma non può permettersi di calciare un tiro di questo tipo fuori addirittura di alcuni metri. Questa analisi nasce dalla considerazione che storicamente la serie di penalty ci è quasi sempre stata sfavorevole. Se infatti sul versante delle gioie possiamo ricordare la finale di Berlino del 2006 contro la Francia e la semifinale europea del 2000 in Olanda proprio contro i padroni di casa, oltre ai quarti di finale contro gli inglesi agli scorsi Europei del 2012, mentre il rovescio della medaglia, quello riguardante le delusioni, è molto più denso di avvenimenti, dalla semifinale di Italia 90 giocata a Napoli contro la nazionale argentina di Maradona alla finale di U.S.A. 94 contro il Brasile, dai quarti di finale del 1998 contro i padroni di casa francesi ai quarti di finale contro la Spagna del 2008 durante gli Europei disputati in Austria e Svizzera.
Perciò questa attitudine a non essere troppo preparati quando si giunge ai tiri dal dischetto la abbiamo sempre avuta, come se ci fosse poca preparazione di questo gesto tecnico sotto sforzo e sotto stress.
A questo proposito il lavoro che potrebbe svolgere uno psicologo dello sport risulterebbe molto utile, perché grazie ad alcune tecniche di “imagery” abbinate al controllo del proprio stato di attivazione tramite la respirazione e il training autogeno, riuscirebbe a mantenere i giocatori concentrati sulla esecuzione di questo gesto, riuscendo per poter far questo a recuperare tutte le energie che sono loro rimaste ed evitando così anche figure poco dignitose come quelle viste contro la Germania.
Ricollegandoci così al discorso principale, veniamo ora alla nota più dolente e deludente, quella composta da una serie di azioni che non avremmo voluto vedere mai, svolte da Graziano Pellè. Anche in questo caso, sicuramente il fatto di aver corso per 120 minuti non ha aiutato il giocatore del Southampton a rimanere lucido in quel momento, ma proprio per questo ci sarebbe voluto da parte di un giocatore professionista che sta rappresentando la patria italiana un atteggiamento diverso, perché una maggiore umiltà forse non avrebbe portato al raggiungimento di un risultato migliore, ma sicuramente ad una considerazione diversa nei suoi confronti. Anche perché il gigante di Lecce in queste partite si era fatto apprezzare proprio per le sue doti di generosità atletica e per il lavoro di aiuto alla squadra che spesso era riuscito con successo a svolgere nei momenti in cui gli Azzurri si trovavano in difficoltà.
Il rituale che ha svolto però prima di calciare dagli undici metri, composto da almeno un paio di gesti spavaldi e di scherno nei confronti del portiere tedesco (Neuer, non proprio un portiere qualsiasi) non avrebbe avuto senso nemmeno se di fronte si fosse trovato un portiere dilettante, perché il rispetto dei compagni e degli avversari è alla base di qualsiasi sport. Ovviamente adesso con il senno di poi è chiaro come fosse tutto un tentativo, vano purtroppo, di sfogare una tensione e una attivazione eccessiva e che il nostro pivot non è riuscito a gestire. Questo gesto ha macchiato la ottima immagine che aveva fornito di sé lui stesso e di conseguenza anche la nostra Italia, squadra organizzata, tenace ed aggressiva, che anche quando ha avuto meno qualità degli avversari è riuscita a sopperirvi con grande corsa e intensità di gioco. Mantenere la stessa mentalità anche nella lotteria finale dei tiri dal dischetto sarebbe risultato molto utile, ma in questo caso la ansia eccessiva che ha colpito alcuni giocatori importanti per la nostra selezione nazionale ha giocato davvero un brutto scherzo.
Per questo ad oggi abbiamo tutti questa sensazione di amaro in bocca, perché gli Azzurri hanno dato tutto ciò che avevano per farci sognare, ma alla fine hanno sentito troppo il momento decisivo della partita e si sono trasformati, diventando quasi irriconoscibili e si sono purtroppo persi. Ai rigori con la Germania si può perdere, perché come detto, in pochi prima della partenza per la Francia credevano che la nostra nazionale sarebbe riuscita a superare il girone di qualificazione. Così però abbiamo dato una immagine finale negativa, siamo sembrati arroganti e presuntuosi, caratteristiche che sono sempre appartenute ad altre nazionali e che abbiamo sempre combattuto con altre armi, come grinta e atletismo, che invece da sempre ci contraddistinguono.
Risulta doveroso precisare che ci sono stati anche giocatori italiani forse più esperti a livello internazionale e quindi più abituati a sopportare questo tipo di pressioni, che hanno fornito una immagine impeccabile di sè stessi e del nostro Paese fino alla fine. Tra questi spiccano il nostro capitano Gigi Buffon e Andrea Barzagli, addirittura in lacrime a fine partita, o anche Giorgio Chiellini ed Emanuele Giaccherini, che è stato un po’ il simbolo di questa Italia operaia e grintosa nelle mani di Antonio Conte.
Queste stesse caratteristiche, seppur con le notevoli differenze che contraddistinguono le due squadre, le ha messo in campo la cenerentola di questi Europei, la squadra tifata da tutti, ossia la nazionale islandese. Paradossalmente, da un punto di vista prettamente pratico, guardando quindi soltanto il risultato, la loro ultima partita è stata molto più tragica rispetto alla nostra, avendo perso per 5 a 2 contro i padroni di casa francesi.
Questo però non è tanto importante, visto che dal primo al 95esimo minuto considerando anche i tempi di recupero, i loro connazionali hanno visto dei giocatori lottare su ogni pallone e non arrendersi mai, dimostrando quello spirito combattivo e mai domo che da sempre contraddistingue le persone del loro Paese. Proprio per questa ragione i loro giocatori hanno meritato sia al termine del match che al momento del rientro in patria, una serie quasi interminabile di applausi, attraverso un rituale tutto loro che denota anche un grande senso di appartenenza ai colori della propria nazione. Sia ben chiaro che tornando a parlare dei nostri Azzurri, non si vuole trovare un colpevole perché non crediamo sia colpa di Pellè se la nazionale italiana è stata eliminata da questi Europei, anche perché i meriti e i demeriti in una squadra sono sempre da spartire con tutto il collettivo e se proprio si vuole fare un bilancio, il nostro Europeo resta comunque abbastanza positivo.
La cartolina finale che però la Nazionale Azzurra di Conte spedisce dalla Francia ai suoi conterranei non è esattamente delle migliori, non tanto per il risultato come detto, ma per questa immagine finale che non ha fatto sicuramente onore a noi italiani. Su questo aspetto dovremmo veramente prendere esempio da una nazione molto più piccola della nostra, con una tradizione calcistica che non arriva nemmeno a un decimo rispetto a tutti gli anni di storia che abbiamo noi nel mondo calcistico, ma che in quanto a rispetto e cultura nello sport, purtroppo, anche se è difficile da ammettere, ha molto da insegnarci.
Dott. Davide Ghilardi